Cesare da Sesto (attr.)
San Gerolamo in penitenza
Olio su tela
153 x 114 cm
Collezione privata
Su un tappeto erboso scandito da piccoli ciuffi di gramigna, San Gerolamo penitente trattiene nella mano destra lo strumento della propria flagellazione corporale, la pietra, per fermarsi in adorazione estatica davanti ad un crocifisso. Il corpo martirizzato del Cristo appare carnale tanto quanto quello del santo e risalta sul rosso del manto cardinalizio che lascia intravedere i sacri testi della Vulgata, tradizionali attributi iconografici di Gerolamo. La scena, fortemente suggestiva e bagnata di luce calda, si staglia in primissimo piano, delimitata da un costone di roccia scura che chiude lo spazio anche ad una fila di alberi. A contrasto, sulla destra, si aprono i tratti di un paesaggio che si snoda, tra secondo e terzo piano, in una serie di architetture di gusto nordico costeggiate da una campagna ordinata e ombrosa, solcata da un corso d’acqua in prossimità del quale si scorgono due viandanti e, poco più avanti, un leone; veduta delimitata ancora, in lontananza, da una catena rocciosa dai toni azzurrognoli. Il dipinto, ignoto agli studi e perciò inedito, si pone in profondo dialogo con una tavola di Cesare da Sesto, di identico soggetto, conservata al Museo Nazionale di Stoccolma che la critica colloca tra la fine del 1515 e il 1517 e dunque al tempo del ritorno del pittore a Milano dopo il suo primo soggiorno nell’Italia centro-meridionale (Roma, Messina e Napoli). Le tinte lucenti degli incarnati, i tratti scultorei delle anatomie e il virtuosismo cromatico della vegetazione dell’opera svedese, già messa in relazione con uno studio per San Gerolamo a Windsor (inv. 064), ci aggiornano sui termini della sutura culturale operata da Cesare da Sesto, a metà tra le rimembranze di una scolarizzazione leonardesca e una maturità forgiata sotto i colpi di una più moderna impaginazione spaziale e concezione narrativa, evidentemente spiegabile attraverso le conoscenze dei rinnovati precetti figurativi imposti dai cantieri romani di Raffaello e Michelangelo. Tuttavia, a mancare nella tavola svedese, decurtata, è la pregevole rifinitura del dorso roccioso, così come la soluzione paesaggistica di suggestivo impatto scenico e con particolari di precisione miniaturistica, altrimenti presenti nell’esemplare in mostra e probabilmente ascrivibili all’influenza del collega e collaboratore di Cesare da Sesto, Bernazzano. Tali preziosi dettagli, oltre a permetterci di conoscere l’originaria e integrale formulazione iconografica del dipinto scandinavo, da ritenersi un prototipo, inducono a vedere nell’opera qui esposta il frutto di una più profonda meditazione intorno al tema, collocandosi, rispetto alla sua prima formulazione, ad una seppur breve ma significativa distanza cronologica.
Bibliografia
• A. Perissa Torrini, Un’ipotesi per una «cona grande» di Cesare da Sesto per San Michele Arcangelo a Baiano, in «Prospettiva», 22, Milano, 1980, pp. 77, 78, 85;
• P. Leone de Castris e P. Giusti, in «Forastieri e regnicoli». La pittura moderna a Napoli nel primo Cinquecento, Napoli, 1985, pp. 144, 169;
• M. Carminati, Cesare da Sesto: un ciclo di affreschi poco noto ed un riesame, in «Arte Cristiana», 1989, pp. 360, 365 nota 53;
• M. Carminati, Cesare da Sesto, 1477 - 1523, Milano, pp. 104; 181, 182
Nicola Barbatelli
On a turf marked by small tufts of grass, Saint Jerome penitent holds in his right hand the instrument of his bodily scourging, the stone, to stop in ecstatic adoration before a crucifix. The martyred body of Christ appears as carnal as that of the saint and stands out on the red of the cardinal’s mantle that allows a glimpse of the sacred texts of the Vulgate [the Latin translation of the Bible, work of Saint Jerome himself], traditional iconographic attributes of Jerome. The scene, strongly suggestive and bathed in warm light, stands out in the foreground, delimited by a ridge of dark rock that closes the space even to a row of trees. In contrast, on the right, a landscape opens up that winds, between the second and the third plane, in a series of architectures of northern taste lined with a tidy and shady countryside, crossed by a watercourse near which two wayfarers can be seen and, a little further on, a lion; view delimited still, in the distance, by a rocky chain with blue tones. The painting, unknown to the studies and therefore unpublished, stands in deep dialogue with a panel of Caesar da Sesto, of identical subject, kept at the National Museum of Stockholm, which the critics place between the end of 1515 and 1517 and therefore at the time of the painter’s return to Milano after his first stay in central-southern Italy (Roma, Messina and Napoli). The bright colours of the complexions, the sculptural features of the anatomies and the chromatic virtuosity of the Swedish work’s vegetation, already related to a study for Saint Jerome in Windsor (inv. 064), update us on the terms of the cultural junction operated by Cesare da Sesto, halfway between the remembrances of Leonardo’s schooling and a maturity forged under the blows of a more modern spatial layout and narrative conception, evidently explainable by the knowledge of the renewed figurative precepts imposed by the Roman workplaces of Raphael and Michelangelo. However, missing in the shortened Swedish wooden panel, is the valuable finish of the rocky ridge, as well as the landscape solution of suggestive scenic impact and with details of miniature precision, otherwise present in the specimen on display and probably attributable to the influence of Cesare da Sesto’s colleague and collaborator, Bernazzano. These valuable details, besides allowing us to know the original and integral iconographic formulation of the Scandinavian painting, to be considered a prototype, lead us to see in the work here on display the fruit of a deeper meditation around the theme, placing itself, compared to its first formulation, at a short though significant chronological distance.
Bibliography
• A. Perissa Torrini, Un’ipotesi per una «cona grande» di Cesare da Sesto per San Michele Arcangelo a Baiano, in «Prospettiva», 22, Milano, 1980, pp. 77, 78, 85;
• P. Leone de Castris and P. Giusti, in «Forastieri e regnicoli». La pittura moderna a Napoli nel primo Cinquecento, Napoli, 1985, pp. 144, 169;
• Marco Carminati, Cesare da Sesto: un ciclo di affreschi poco noto ed un riesame, in «Arte Cristiana», 1989, pp. 360, 365 nota 53;
• M. Carminati, Cesare da Sesto, 1477 – 1523, Milano, pp. 104; 181, 182
Nicola Barbatelli